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COMUNICATO – LIBERTÀ E AUTODETERMINAZIONE PER IL POPOLO PALESTINESE

di SOA IL MOLINO

– LIBERTÀ E AUTODETERMINAZIONE PER IL POPOLO PALESTINESE

Lugano ovviamente non è Gaza, ma ciò che lega i suoi distruttori a questa città è un fil rouge complesso, fatto di relazioni economiche e diplomatiche, di meeting e kermesse dove spesso e volentieri si mette il focus sulle nuove tecnologie e la sicurezza militare e civile.

Da anni nella città in riva al Ceresio, vengono organizzati dei meeting chiamati “Swiss Israel Day”, promossi dall’Associazione Svizzera-Israele e patrocinato (anche finanziariamente) dalla Città di Lugano e soprattutto dalla Confederazione. Oltre alla presenza di una buona fetta della politica nostrana comunale e cantonale di tutti i colori politici, sono stati invitati personaggi appartenenti alla classe politica israeliana, principali attori delle politiche di apartheid che avvengono in quelle zone, come Tzipi Livni, ministra del Governo Sharon, una delle principali mandanti dell’operazione “Piombo Fuso” a Gaza del dicembre 2008 o Yaakov Perry, ex capo dei servizi segreti israeliani, sempre bene accolti con sorrisi smaglianti dall’ex sindaco Borradori (oggi da Foletti) e dal consigliere di stato e federale di turno, così a rappresentare l’eterna amicizia e il prolifico scambio tra lo stato ebraico e la città di Lugano (ergo la Confederazione stessa). Del resto, che queste relazioni siano così radicate da sempre non è un mistero. Probabilmente la volontà da parte del consiglio federale di inserire Hamas all’interno della lista nera delle organizzazioni terroristiche e al contempo lo stralcio dal libro degli aiuti economici di decine di organizzazioni umanitarie attive a Gaza e nei territori occupati, dimostra in maniera chiara la volontà della Svizzera di ribadire da che parte vuole stare. Difatti, la linea della Confederazione e della maggioranza degli stati occidentali è ben supportata nei salotti televisivi, sui giornali e in quella che si può definire la solita narrazione “mainstream”: si parla di Hamas e del “diritto ad Israele a difendersi” (una “difesa” che è costata in termini di vite civili palestinesi dall’inizio del conflitto circa 15mila morti, esattamente dieci volte tanto quelle israeliane colpite durante l’attacco di Hamas del 7 ottobre). Si lancia l’allarme a un ritorno di fiamma dell’antisemitismo, che non neghiamo, tralasciando però spesso coscientemente la piaga dell’islamofobia anch’essa sempre più diffusa e purtroppo spesso – neanche troppo velatamente – sostenuta dai supporters dell’odio xenofobo, anche nostrano (Lega, UDC, ecc.). Tutti partiti di estrema destra molto vicini ideologicamente a gruppi neonazisti e neofascisti per definizione antisemiti e tra le cui fila spesso militano tranquillamente nostalgici del terzo Reich o fascisti hipster del Terzo Millennio.

Intanto, però, nelle piazze e nelle strade del pianeta da più di un mese si sta urlando a gran voce “cessate il fuoco”, si rivendica uno stop immediato a questo massacro che ancora una volta altro non è che l’esecuzione di un piano di pulizia etnica da parte dello stato israeliano nei confronti del popolo palestinese. Massacro sostenuto politicamente e supportato materialmente dagli Stati occidentali, in particolare dagli Stati Uniti.

Alle nostre latitudini il dibattito in merito tende spesso a polarizzarsi, a definire, ancora una volta, chi è il buono e chi è il cattivo, quando invece dovremmo chiederci chi è l’aggressore e chi è l’aggreditx, chi colonizza e chi resiste. Sono più di 70 anni che il popolo palestinese vive sotto un regime razzista e oppressivo, dove le violenze da parte di Tsahal (l’esercito israeliano) nei territori occupati sono all’ordine del giorno. A Gaza si vive da decenni in condizioni disumane, in quella che in moltissimi hanno sempre dichiarato essere la “più grande prigione a cielo aperto del mondo”.

Nel dicembre 2021, in seguito alla rioccupazione del Centro Sociale il Molino, issammo sul tetto due bandiere, quelle dell’Esercito di autodifesa del popolo curdo (ypj e ypg) e quella di palestinese, simbolo di un popolo in lotta e in resistenza contro una delle più grandi potenze militari e tecnologiche del pianeta. Per noi simboli importanti di lotta e resistenza dal basso. In seguito allo sgombero una delle primissime cose che venne fatta fu quella di togliere queste bandiere, un chiarissimo segnale politico ordinato dai piani alti di chi governa questa città.

Sempre di potere si tratta, sempre di guerra e di devastazione, di quella logica patriarcale, ed autoritaria che alla fine si poggia sempre al bastone del profitto e del capitalismo. Perché dietro alla guerra, ai massacri, alle stragi di civili bombardati nelle proprie case o negli ospedali, c’è chi sempre ci specula e ci trae profitto. Proprio in linea con la politica di questa città infame. A Lugano in fondo non si è mai parlato d’altro. Che siano start-ups o collaborazioni tra aziende ticinesi e israeliane, di fondo la logica è sempre quella, poco importa se ciò porta ad essere complici più o meno indiretti di una guerra di dominio che va avanti da quasi un secolo. Anche qui siamo attorniati dai simboli e brands blasonati, (AXA, Novartis, Syngenta, BurgerKing, McDonalds, Carrefour, Puma…) che sono diretti finanziatori di Israele e sappiamo che esistono aziende come Pilatus e Ruag che da anni collaborano con aziende legate al settore militare israeliano, in special modo per quello che riguarda oggigiorno l’industria dei droni. Come quelli usati dalle guardie di confine per controllare le frontiere anche in Ticino fabbricati dalla Elbit Systems, la piu grande azienda produttrice di tecnologie e armi israeliana, diretta responsabile del controllo e l’uccisione del popolo palestinese. Azienda con cui nel 2018 la Ruag ha formato una ‘’Joint venture company’’ in Svizzera, al fine di facilitare le collaborazioni in questo ambito. Insomma, non solo meeting, strette di mano e dimostrazioni di reciproca stima. A Lugano, in Ticino e in Svizzera si continua a collaborare in favore della mortifera macchina bellica attraverso partenariati economici, universitari e sinergie aziendali in modo da poter far generare sempre più profitti agli uni e poter continuare nel proprio progetto di colonialismo di insediamento di altri. Noi non intendiamo essere complici di tutto ciò!

Scendiamo quindi in strada a Lugano il 2 dicembre, città amica e complice di uno stato assassino e guerrafondaio, a fianco del popolo palestinese in particolare e a fianco di tutti i popoli oppressi dal gioco della guerra, del colonialismo e del capitalismo.

Per dire no al massacro, per un cessate il fuoco immediato

Per dire basta al collaborazionismo economico e di conseguenza bellico tra Svizzera e Israele

Per la libertà e l’autodeterminazione del popolo palestinese e di tutti i popoli del mondo

Nella speranza e nel sostegno di una nuova Intifada

Libertà! Freedom! Hurriya! per il popolo palestinese!

SOA Molino