VIOLENZA DI GENERE E AUTODIFESA – Gruppo di Autodifesa Donna Filo-Mena
Il discorso sull’autodifesa è difficile da affrontare, quello dell’autodifesa femminile ancor di più. Sarebbe superficiale limitarlo alle considerazioni sulle tecniche più adatte alla difesa della donna. Uno dei problemi base su cui riflettere e dibattere è l’atteggiamento di ogni donna nei confronti della violenza e dell’aggressività. Fin da piccole le donne vengono educate a tagliare delle loro parti per piacere al padre, la madre, lo zio, la maestra etc., si abituano a mangiare la loro stessa rabbia non esprimendola, perché sfogandola uscirebbero dal ruolo a loro assegnato: disponibilità sempre e comunque. La rabbia sembra una prerogativa del sesso maschile. La donna da queste parti e di questi tempi deve essere bella, debole, magra ma formosa, paziente, indifesa e anche manager. Si deve pensare come una parte inseparabile della coppia uomo-donna ed è destinata a fare almeno un figlio. Non solo la donna ha dovuto, involontariamente, assimilare durante la sua infanzia una pratica non violenta, impostatale dalla cultura, ma alcune volte rifiuta il suo uso in maniera cosciente. Questa ambivalenza nei confronti della violenza non rimane inattiva e si manifesta nel momento in cui è costretta ad una risposta violenta, come nel caso di un tentativ di stupro, ed è incapace di darla. L’incapacità è solo in parte fisica. Ed è semplice a questo punto capire la differenza tra l’autodifesa praticata tra sole donne ed un semplice allenamento in palestra. Praticare l’autodifesa femminile accresce la propria capacità di reazione psicologica all’aggressività e alla violenza, sviluppa la capacità di prendere le decisioni in maniera attiva riconoscendo chiaramente le situazioni di pericolo (considerare il reale pericolo e le opzioni possibili: fuga, lotta, chiamare aiuto), ci insegna ad essere protagoniste di ciò che ci accade (di fronte alla violenza verso le donne non può esistere la passività), fa conoscere meglio il corpo e noi stesse.