-Tradotto da Agrowingculture (IG)
DECOLONIZZAZIONE, NON DECARBONIZZAZIONE!
Con la COP sul clima attualmente in corso, siamo di nuovo sommersx da titoli che sottolineano come il nostro futuro collettivo dipenda urgentemente dalla “decarbonizzazione” delle nostre economie.
Probabilmente vedremo rappresentanti statali e aziende rinnovare le loro promesse, vantarsi dei progressi nella riduzione e compensazione delle emissioni di carbonio e destinare ulteriori milioni a “soluzioni verdi”.
Ma concentrarsi unicamente sul carbonio significa perdere di vista il quadro generale.
Le narrazioni dominanti intorno alla decarbonizzazione spesso affermano che si tratta di una vittoria per tutti, aziende, governi e comunità, sostenendo il passaggio dai combustibili fossili a soluzioni a basse emissioni di carbonio come il “green business”, i “mercati del carbonio” e la “finanza climatica”.
Tuttavia, mentre la decarbonizzazione può sembrare promettente sulla carta, la sua attenzione limitata al carbonio spesso rafforza le stesse pratiche inique, estrattive e di sfruttamento che hanno causato la crisi climatica.
LA DECARBONIZZAZIONE È SPESSO INIQUA
Le politiche di decarbonizzazione spesso rispecchiano le dinamiche di potere coloniali. I paesi del Nord globale, responsabili di oltre il 92% (1) delle emissioni cumulative, spesso dettano le regole dell’azione climatica, senza però rispettare i propri obiettivi.
Entro il 2030, questi paesi supereranno i loro target di emissioni del 38%, con Stati Uniti, Unione Europea e Russia che, da soli, saranno responsabili dell’83% (2) di questo eccesso.
Per compensare le loro emissioni sproporzionate, trasformano le aree rurali del Sud globale in “zone di sacrificio”, spogliandole di risorse cruciali per alimentare la transizione verde del Nord, lasciando però alle comunità locali i rifiuti e l’inquinamento.
La maggior parte dei progetti di decarbonizzazione è radicata in una logica coloniale profondamente distorta che vede l’umano come separato e quasi parassitario per la natura.
Ad esempio, diversi Paesi africani sono continuamente oggetto di iniziative di “fortess conservation”. Dal 2022, oltre 70.000 pastori Maasai (3) nella regione di Ngorongoro in Tazania sono stati sradicati dalle loro case in nome della “protezione” della natura, nonostante il loro ruolo essenziale di custodi della terra. Questi progetti, fortemente sostenuti dalle Nazioni Unite e finanziati da interessi statunitensi ed europei, stanno allontanando le comunità indigene di tutto il mondo, che in ultima analisi proteggono l’80% della biodiversità terrestre.
LA DECARBONIZZAZIONE È SPESSO ESTRATTIVA
Secondo il World Economic Forum, il mercato della decarbonizzazione potrebbe trasformarsi in un’industria da 10 trilioni di dollari entro il 2030 (4).
Tuttavia, mentre le aziende raccolgono miliardi, molte comunità, specialmente nel Sud globale, sono spesso escluse dall’equazione, nonostante le loro terre e il loro lavoro siano la base di questa transizione verde.
La spinta verso i veicoli elettrici e l’energia solare negli ultimi anni ha trasformato il deserto di Atacama, in Cile, in un punto caldo per l’estrazione mineraria, alimentando la transizione verde del Nord globale. Comunità indigene come i Colla, i Lickan Antay e gli Atacameño stanno affrontando gravi crisi mentre l’attività mineraria esaurisce risorse vitali, prosciuga i fiumi e costringe moltx a migrare verso le città. Mentre i loro minerali alimentano l’elettrificazione globale, moltx abitanti locali non hanno ancora accesso all’elettricità e non traggono alcun beneficio.
Nel frattempo, nella regione amazzonica dell’Ecuador, la crescente domanda di legno di balsa per produrre pale leggere per turbine eoliche in Europa e Cina sta provocando lo sfollamento delle comunità indigene Achuar e Waorani. Il disboscamento illegale inquina le loro acque e devasta la biodiversità locale.
LA DECARBONIZZAZIONE SI TRADUCE SPESSO IN SFRUTTAMENTO
Mentre le aziende guadagnano milioni e migliorano la loro immagine pubblica con questi progetti, i lavoratori che piantano alberi, ripristinano foreste e mantengono i siti di compensazione del carbonio ricevono spesso una retribuzione minima.
A Coatitla, in Messico, i villaggi speravano che un programma di compensazione del carbonio sostenuto da British Petroleum (BP) e dal World Resources Institute avrebbe portato un reddito significativo alla comunità, dove il salario giornaliero medio è di appena 6,40 dollari. Tuttavia, dopo due anni di intensi sforzi di riforestazione, ogni lavoratore ha ricevuto solo 40 dollari a testa – poco più di una settimana di stipendio (5).
Questo progetto riflette una tendenza più ampia in cui le aziende ottengono crediti di carbonio a costi minimi in regioni povere. In tutto il Messico rurale, BP ha acquistato oltre 1,5 milioni di crediti per appena 4 dollari l’uno, circa il 15% del prezzo di mercato, sfruttando comunità con risorse e potere contrattuale limitati (6).
In appena un decennio, la decarbonizzazione si è evoluta in un’industria miliardaria che ha arricchito pochi eletti, estraendo risorse vitali e lavoro dalle comunità del Sud globale – il tutto sotto la pretesa di un’azione per il clima.
VERSO UNA GIUSTIZIA CLIMATICA AUTENTICA
La giustizia climatica richiede che si vada oltre la semplice contabilizzazione del carbonio, assicurando che le soluzioni siano fondate sulla redistribuzione del potere e dell’autonomia alle comunità che stanno realmente conducendo il lavoro.
Dobbiamo urgentemente ridimensionare ed eliminare l’estrazione di risorse, anziché cercare soluzioni che la mantengano.
Immaginare un futuro vivibile per noi e per il pianeta richiede di affrontare le radici coloniali che hanno dato origine alle pratiche che alimentano la crisi.
La decarbonizzazione è un risultato necessario, ma deve essere il sottoprodotto di una trasformazione più ampia verso modi di vivere più giusti, equi e sostenibili.
Il vero lavoro inizia con lo smantellamento dei sistemi che hanno causato questa crisi, il ripristino della giustizia per chi è stato maggiormente colpito e una radicale ridefinizione dei nostri rapporti con la terra, le economie e tra di noi.
Serve mettere al centro i saperi locali, concentrarsi sui diritti alla terra e smantellare i sistemi di estrazione e sfruttamento che storicamente hanno guidato sia la distruzione ambientale che le disuguaglianze sociali.
Non basta decarbonizzare. Dobbiamo decolonizzare la nostra intera visione della crisi – e della vita stessa. La decarbonizzazione seguirà naturalmente.
- Hickel, J. (2020). Quantifying national responsibility for climate breakdown Van Deursen, Max and Sumit Prasad. 2023. Trust and Transparency in
- Climate Action. Council on Energy, Environment and Water
- Amnesty International. (2023, June 6). Tanzania: Authorities brutally violated Maasai amid forced evictions from ancestral lands World
- Economic Forum. (2024, January 26). Just how big is the decarbonization investment opportunity ?
- De Haldevang, M. (2022, June 27). BP paid rural Mexicans a “pittance” for Wall Street’s favorite climate solution. Bloomberg.
- Radwin, M. (2022, July 7). BP exploited Mexican communities hoping to benefit from carbon credits: report. Mongabay
RIFLESSIONI SULLA COP29
Ogni anno, la Conferenza delle Parti (COP) delle Nazioni Unite viene presentata come uno spazio legittimo di decisione per affrontare la crisi climatica. I leader mondiali si riuniscono per annunciare impegni e fissare obiettivi, in un apparente sforzo comune per trovare soluzioni al collasso ecologico in corso.
Creare uno spazio per l’azione politica, alternative sostenibili e finanziamenti è cruciale per avanzare verso un pianeta più sano. Allo stesso tempo, dobbiamo osservare e mettere in discussione la COP29 con uno sguardo critico, poiché rischia di rafforzare le narrative, le tattiche e i sistemi che hanno portato l’umanità alle attuali catastrofi.
Ecco cinque riflessioni guida in vista della conferenza:
INCLUSIONE ≠ POTERE
La crescente inclusione delle comunità in prima linea nell’agenda della COP è solo una facciata se queste non vengono realmente messe al centro del processo decisionale.
SOLUZIONI ≠ FORMULE MAGICHE
Non esiste una soluzione universale alla crisi climatica: i suoi impatti si manifestano in modo diverso in ogni territorio. Un’azione climatica efficace nasce dal basso, rispondendo ai bisogni, alle conoscenze e alle capacità di ciascuna comunità.
VISIBILITÀ ≠ SOSTEGNO
Le soluzioni dal basso meritano più che essere semplici casi di studio. Sono una mappa vivente verso futuri che rispettano la vita, ma necessitano di volontà politica e investimenti di capitale.
IMPEGNI ≠ AZIONI
Dal 1995, anno della prima COP, sono stati promessi milioni di dollari per “azioni climatiche”. Dopo 29 anni, i principali inquinatori continuano come sempre, e le emissioni globali di carbonio non smettono di aumentare.
La COP29 e le sue “soluzioni”, promesse e obiettivi, saranno ampiamente coperte dai media.
Ma, dopo quasi tre decenni di conferenze e un pianeta che si avvicina di 1,5°C al collasso, dobbiamo chiederci:
- La COP è davvero un catalizzatore per le azioni necessarie a proteggere la vita sulla Terra, o serve a mantenere lo status quo?
- Chi trae vantaggio dagli accordi presi in questi spazi e chi ne paga il prezzo?
- E, forse in modo ancora più urgente, quali strade verso un futuro vivibile stiamo sacrificando, mentre eventi come la COP continuano a distrarre attenzione e risorse dai profondi cambiamenti sistemici necessari per garantire il nostro benessere collettivo?