Aria fritta, macerie e buchi senza la menta intorno
Il Molino, l’ex macello, tutto ciò che si muove, tutto ciò che sta fermo, a oltre tre anni dall’infamia.
1) Tristezza estiva e aperitivi natalizi
Kiss me all
before you go
summertime sadness
(Summertime sadness, Lana del Rey, 2024)
La forza uniformante del mercato ha la facoltà di rendere una città un non luogo sempre identico a sé stesso, a prescindere dalle stagioni, tanto durante le festività natalizie, quanto durante quelle estive. Le feste comandate sono una valida cartina tornasole per comprendere l’esclusiva idea di mondo – e dell’umanità ammessa ad abitarlo – che le poche persone che dispongono di potere economico, in questa manciata di terra chiamata occidente, hanno in serbo.
Basterebbe infatti incrociare i dati sul numero di case o appartamenti vuoti nella sola città di Lugano, con i rispettivi valori immobiliari, i loro possessori e i costi di affitto, con il numero di residenti che lasciano il cantone per fascia di età. Oppure confrontare i massicci investimenti di milioni di franchi nei poli urbani degli eventi, con i tagli alle risorse e al personale nei servizi sociali, o anche solo considerare il numero di effettivi di polizia in relazione al numero di abitanti – il più alto di tutta la Svizzera – per cominciare seriamente a sospettare di non essere sempre “all’altezza” del diritto di cittadinanza voluto da lorsignori. La Lugano dei grandi poli di sviluppo è soprattutto un grande buco: quello dove giacciono le macerie ancora fumanti dell’ex macello in attesa dell’improbabile progetto Matrix o quello dove sorgerà il nuovo stadio di Cornaredo, enorme e profonda fossa a pochi metri dal letto del fiume Cassarate, insostenibile dal punto di vista finanziario, sociale e probabilmente anche idrogeologico.
È soprattutto in estate, quando tutto quel trionfo di asfalto e cemento trasuda afa, quando restare umani può semplicemente voler dire aver voglia di farsi un bagno al lago o al fiume, che ci si rende conto di vivere in un territorio in cui non c’è spiaggia o litorale che non siano già stati mercificati e securizzati. L’idea di rimediare con una rinfrescata in una delle fontane cittadine poi, può costare fino 200 franchi di multa! Manco ci fossero i marmi del Bernini. Allo stesso tempo, il sombrero in modesto bitume del Tita Carloni, in Piazza Molino Nuovo, rimane una fontana rigorosamente spenta, secca e priva d’acqua per tutta l’estate (e per tutto l’inverno). Probabilmente proprio perché vissuta da quell’umanità meno desiderabile, quella che considera ancora le piazze con le fontane, gli alberi e le panchine come luoghi di ritrovo o di riposo e non come lotti urbani da mettere a profitto, magari con un bell’autosilo.
“… Pensa agli altri, coloro che mungono le nuvole”, direbbe il poeta palestinese Mahmoud Darwish.
Ma “gli altri” in questo territorio ordoleghista sono percepiti unicamente all’interno di quel viscido binarismo che li intende come una minaccia da combattere e respingere – barbari elefanti che rovinano la gioielleria di famiglia – oppure come un ammasso di consumatori a cui far pagare anche l’aria che respirano.
Fuor di retorica, è proprio quindi durante il periodo estivo o durante le feste comandate – per ragioni storicamente ben sedimentate – che la “Grande Lugano” offre la propria immagine di sé, del proprio mondo e del proprio sfarzo consumistico, arrivando perfino a dotarsi di regole proprie e “leggi ad hoc”, infischiandosene bellamente del tanto (a lor) caro concetto di legalità. Del resto, si tratta pur sempre di una delle prime città ad aver mercificato il tempo libero sin dalla creazione dei primi alberghi di lusso, nonché una delle prime a riconoscere – grazie al defunto sindaco Marco Borradori – formalmente e in barba a trattati e convenzioni, Gerusalemme come capitale dello stato israeliano (con motivazioni anche legate all’industria turistica).
Pur senza la spiaggia di Copacabana, la cittadina sul Ceresio si propone altezzosa come piccolo paradiso di pace e di comfort. Un bel paesotto con le aiuole in vista ben curate e i gruzzoli di macerie nascosti da una “ramina”, che ambisce a essere un riferimento tra i poli urbani della Svizzera: il perno economico della Città Ticino! Lasciando che la periferia ticino frattanto si sfaldi franandosi addosso e riportando il dramma della realtà climatica un po’ più vicino, ma pur sempre al di là del naso del municipale negazionista Lorenzo Quadri.
Insomma un campo da gioco sempre ben presente e definito, nonostante Paride Pelli, direttore non si capisce bene come del CdT, sostenga il contrario (Molinari il campo da gioco non esiste più, 28.11.2024, https://www.cdt.ch/opinioni/editoriali/molinari-il-campo-di-gioco-non-ce-piu-377946) in un allucinato, violento e menzognero editoriale precedente le feste. È proprio in questa visione del mondo, che l’idea di città viene ulteriormente ridotta a un non luogo riservato a poche privilegiate persone, infarcito di eventi, con il giusto contenimento di decibel per chi ama sonnecchiare nel proprio attico a godersi il panorama, immerso nell’unica vera evasione che conta, almeno per questa ristretta cerchia di umanità: quella fiscale!
(Piccola parentesi chiarificatrice a proposito del senso del titolo di questo comunicato: forse non tutte le persone ricordano la rèclame della caramella Polo “il buco con la menta intorno”. Per cui tutto quel parlare di “poli” senza avvertire l’incombenza di un infelice doppiosenso sui buchi è un po’ come proporre un progetto dal nome Matrix su un centro sociale sgomberato. In Svizzera forse non si ciucciano mentine, ma i magnati dell’industria dolciaria Perfetti, quelli delle caramelle Polo in questione, fanno parte di quella ristretta idea di cittadinanza di cui sopra e sono una delle famiglie più ricche attualmente residenti in Svizzera).
Torniamo a noi. Lugano sbandiera opportunamente il proprio trend demografico positivo, soprattutto quando si tratta di milionari, spende soldi pubblici per mandare razzisti municipali a Londra per raccattare globalisti super ricchi, dimentica del fatto che ad andarsene, però, sono soprattutto le persone giovani e che tutta un’altra classe di umanità fatica sempre più ad arrivare alla fine del mese. Forse essere la città più vecchia della Svizzera e al tempo stesso quella politicamente più a destra, non è soltanto una coincidenza.
A strappare però spiragli di possibile esistenza degna per tutto il resto dell’umanità non bastano certo i concerti allo spazio Foce, il riesumato Mojito o le varie kermesse estive o natalizie senz’anima, gestite dai soliti noti e con le solite modalità arruffone-affariste. Tanto meno il notevole circuito della movida chic-ciellina-alternativ (LuganoBella, Locanda Masseria, PortoBello e per fortuna ancora l’ha scampata uno dei pochi luoghi ancora vivibili e aggregativi, il Lido San Domenico). In una geografia costretta tra la foce del fiume Cassarate e il piano di Grancia, tra la “Lugano marittima” e il club Oceano, la smart city sul Ceresio definisce i modi paradossali della propria mercificazione e di un paesaggio desiderabile, ma geograficamente inesistente e insostenibile (e, en passant, un paio di notizie: in Svizzera non c’è il mare e Lugano si trova in Svizzera e non in Brasile), scavando senza sosta e nessun amor proprio quell’enorme buco senz’anima ne dignità, dove a contare sono solo il conto in banca, la pelle e la polvere bianca, oltre a un’apparenza luccicante.
In estate come in inverno – che sia il natale della patria o quello di dio – Lugano sembra sempre più il feudo esclusivo di una ristretta classe di affaristi e speculatori senza vergogna che beneficia del supporto politico dei soliti partiti e dei soliti municipi. Una città chiusa e repressiva che deve giocoforza fare i conti con le conseguenze della propria esclusività e della sempre più evidente inadeguatezza della propria politica, che si vede infine costretta ad ammiccare con “la cultura alternativa” o “indipendente”, tra la squallida ambizione elettorale di imporsi come “capitale della movida” (citazione di uno slogan elettorale della cricca al potere) e la volontà dichiarata di escludere o omologare tutto ciò che le è indigesto.
Pensando (o sperando) che gli elefanti si estinguano da solx, ridottx a una mera questione di ordine pubblico…
(fine prima parte… continua…)