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PALLA IN GIOCO (TERZA PARTE)

PARTE III: Per dove dobbiamo andare? Un altro natale è passato…

In un passato che non passa mai
non sono i cani di razza che urlano in piazza gridando che
qui c’è un passato che non passa mai
ed un futuro che non troverai

(Pugno di sabbia, Subsonica, 2024)

Il percorso politico del Molino, Strade Occupate e Autogestite (SOA), in questi ultimi tre anni e mezzo ha espresso e liberato spazi non per una, ma per diverse culture alternative, solidali, di aggregazione, di lotta e di conflitto. Abbiamo occupato edifici pubblici e privati tuttora in stato di abbandono, parchi, piazze e strade, rivelando quante possano essere le possibilità di continuare ad abitare questo territorio preso in ostaggio da speculazione e paranoie securitarie. Pratiche di r-esistenza sempre ben partecipate e come sempre a fianco di popoli e di territori in lotta

L’ultimo della serie, ieri sera, a Trevano, con una nuova TAZ (Zona Temporaneamente Occupata) negli spazi sottoutilizzati della Supsi. Rendendo evidente che, al di là dell’opportunista discorso che vorrebbe la questione dell’autogestione unicamente come una questione di ordine pubblico, gli spazi ci sono ed esistono. E che riprenderli, liberarli, occuparli e rimetterli a disposizione per la collettività, con un infinito immaginario di possibilità, è ancora e sempre un’esigenza reale e sentita da parecchie persone. Una sorta di auto-cura collettiva liberatoria, per andare oltre le precarietà e le tristezze del quotidiano.

Il tutto nonostante una campagna mediatica dai toni allarmati rispetto al ripetersi di un nuovo Trash di natale e dopo le recentissime denunce per violazione di domicilio, sommossa e danneggiamenti (conteggiati nella considerevole e improponibile somma di 281.000, 10 .- duecentottantunmilafranchiediecicentesimi!) arrivate a varie persone, per l’occupazione dell’anno scorso, del LeCap a Capo San Martino. Denunce inoltrate da quella stessa proprietà che ha lasciato in evidente stato di abbandono e degrado uno dei luoghi più significativi della storia di Lugano.

Il rituale di salute pubblica dal basso si è quindi andato a ripetere in questa fredda nottata dicembrina di fine 2024, dove almeno 400 persone sono nuovamente passate e hanno condiviso un’intera nottata tra canti, balli, sorrisi e presabbene. E quest’anno nessuna immagine scandalosa di rifiuti abbandonati e di pseudo “degrado”, costruito ad arte dopo uno sgombero mattutino (nel quale alla stampa veniva impedito di documentare, bloccandola accondiscendente a centinaia di metri) di una struttura affacciata sul lago dove un tempo venivano impiccate le donne con l’accusa di stregoneria.

Come se nulla fosse passato, nessun elefante pervenutx, lasciando Lugano nel solito tran tran di noia e lumini che si spengono passata la mezzanotte.

Sembrerebbe… ma invece… gli elefanti sono in giro e palla in gioco anche per questo 2025!

Una palla che vuole continuare a rimbalzare, in un campo da gioco sempre più devastato e che non mancherà – al di là delle roboanti e minacciose affermazioni di lorsignori  – a inserirsi ribelle e monella tra il decoro delle maglie cementificate della città dall’alto.

Lo sapete quanto sono grandi, grossi e lenti gli elefanti? (Almamegretta, Figli di Annibale, 1993)

Ma al di là di tutto questo percorso e le tante belle parole, ci è comunque perfettamente chiaro l’assenza di una chiara volontà politica di riconoscimento e d’accettazione dell’autogestione. Una situazione confusionale e un ritardo perpetuo di 20 e passa anni accumulato, nel riconoscere  o perlomeno accettare forme altre di vita o espressione “alternativa”. Lo abbiamo recentemente visto nello scadente “dialogo”, avvenuto poche settimane fa in gran consiglio, sull’eventuale ruolo del Cantone, nella ricerca di spazi idonei. Discussione – ricordiamo a mò di precisione – avvenuta a quasi 30 anni dalla prima occupazione degli ex molini Bernasconi a Viganello, a cui seguì il primo riconoscimento scritto da parte del Cantone (“Rapporto sulla legittimità dell’esigenza di spazi socio-culturali in Ticino”, 1998) e a 22 anni dallo sgombero cantonale del Maglio (in piena trattativa con Municipio e Cantone..) e dalla conseguente firma sulla convezione per l’ex macello.

Altrettanto chiara è anche la volontà di sminuire e relativizzare le precise responsabilità politiche istituzionali della demolizione del centro sociale nella primavera del 2021, riducendole a delle semplici responsabilità polizesche. Anche se l’idea di sacrificare qualche fedele servitore in divisa, magari con una buonuscita o un prepensionamento, non servirà certo a insabbiare e nascondere la variegata catena di comando politico-poliziesco, che ha nel suo vertice il capo del “Dipartimento istituzioni e alcol test”. Ometterlo, dimenticarsene e far finta di niente equivale a non comprendere nulla del meccanismo vendicativo che ha trovato l’apice delle violenza – dopo mesi di incontri nello Stato Maggiore e dietro le quinte – in quella notte di primavera di 3 anni fa.

Tre anni in cui si è continuato a sbandierare falsi proclami sulla necessaria “sistemazione definitiva” per l’autogestione; dichiarando intenti di riconoscimento della “cultura indipendente”; dibattendo della diversa natura di autogestione e “cultura indipendente”; interrogando il Gran Consiglio; stimolando l’intervento statale; attivando i “servizi” per proporre periferici scarti di magazzino da ristrutturare (ex HG commerciale, ex depuratore…); dissimulando interessi ufficiali, riunioni e gruppi di lavoro per giungere a una soluzione e soprattutto friggendo molta aria per il segmento elettorale attivo.

Per chi non si nutre di aria fritta le possibilità e gli spazi di agibilità politica rimangono  significativi e molteplici, come ancora reso visibile ieri notte.

Da parte nostra continuiamo a ritenere che la presenza di un luogo d’autogestione, autonomo e liberato costituisca un bisogno urgente, avvertito da tutte quelle soggettività che non si sentono per forza parte di quella ristretta idea di umanità con diritto di voto in questa città.

Perché la cultura che ci anima e ci muove, sia essa alternativa o indipendente, è prima di tutto prassi politica-sociale-culturale che ci impegna nella contemporaneità della crisi climatica, delle guerre neocoloniali, della distruzione dello stato sociale, dell’estrattivismo, delle nuove tecnologie di controllo e di dominio di un post-capitalismo, forse in grado di mutare e rinnovare sé stesso, ma pur sempre detestabilmente basato su patriarcato, razzismo e guerra.

Anche perché – e non ci sembra un azzardo dirlo – dopo le ruspe, le denunce, gli sgomberi e i falsi ammiccamenti per trattative che di dialogo non avevano niente e che hanno messo in campo la completa assenza di volontà nel trovare soluzioni realmente possibili e soprattutto percorribili – e considerando l’amplia ed eterogenea galassia di rivendicazioni dal basso, “una soluzione” soltanto a tutto questo immobilismo ipocrita non è più immaginabile. A meno che nel mondo della politica di rappresentanza liberal-democratica di questa città e di questo Cantone non ci sia finalmente la capacità di riconoscere di essere soltanto rappresentanti di meno della metà di una minoranza con diritto di voto e di eleggibilità chiamato “cittadinanza”.

Cittadinanza che, in una città come Lugano, rimane per scelta e convinzione politica, categoria ristretta e privilegiata, spesso ad appannaggio di determinate facoltà patrimoniali, che delega sovranità e polizia, ma ormai categoria sociale limitata e insufficiente alla comprensione e alla gestione della complessità urbana presente, di cui la storia e la realtà del Molino sono una parte assai significativa.

Perché per immaginare e costruire occorre spazio. Occorre farsi spazio.  Occorre prendere e recuperare spazi. Per continuare a contrastare il ristretto mondo di frontiere, securizzazione e mercificazione che intende porsi come ragione esclusiva di questa città e di questo territorio.

Perché ancora e nonostante tutto, uno, dieci, mille spazi occupati, autogestiti, ripresi, liberati.

Fuori gli elefanti.

Palestina libera!

SOA il Molino