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IMPERIALISMO SVIZZERO: I SEGRETI DI UN POTERE INVISIBILE

– Tradotto dal francese

I SEGRETI DI UN POTERE INVISIBILE

Dietro la sua ben collaudata propaganda, la Svizzera è una delle grandi nazioni imperialiste del mondo. Lo storico Sébastien Guex spiega le strategie messe in atto per dispiegare un imperialismo svizzero “mascherato o silenzioso” e i danni che questo modello ha causato e continua a causare, insiti in una politica capitalista.

In proporzione alle sue dimensioni, ma anche in termini assoluti, la Svizzera è stata a lungo una delle principali potenze imperialiste del mondo. Tornerò su questo punto più avanti. Ma in Svizzera non c’è quasi nessuna consapevolezza diretta di questo fenomeno, anche all’interno del movimento operaio o della sinistra. Le ragioni sono molteplici.

Innanzitutto, la Svizzera non ha mai avuto vere e proprie colonie e quindi non è mai stata coinvolta direttamente nella manifestazione più evidente del colonialismo o dell’imperialismo, ossia la guerra coloniale o la guerra imperialista.

Al contrario, la borghesia industriale e bancaria svizzera si è mossa per molto tempo in una maniera mascherata: dietro la neutralità politica, cioè avanzando all’ombra delle grandi potenze coloniali e imperialiste (Gran Bretagna, Francia, Germania, Stati Uniti); camuffata anche dietro un onnipresente discorso propagandistico che cerca (e spesso riesce) di far passare la Svizzera come il Paese della politica umanitaria, attraverso la Croce Rossa, i Buoni Uffici, la filantropia, eccetera; infine, celata dietro ad un discorso che assomiglia più che altro a quello della “guerra al terrorismo” . Il tutto accompagnato da un discorso complementare che ho chiamato “retorica della piccolezza ” (1) , che presenta sempre la Svizzera come un Davide che combatte contro i Golia, uno Stato piccolo, debole e innocuo (2).

Per tutti questi motivi, alcuni autori hanno definito l’imperialismo svizzero secondario. Ma credo che questo termine non sia appropriato, perché perpetua l’idea che l’imperialismo svizzero abbia poco peso, sia marginale, insomma molto meno importante dell’imperialismo di altri Paesi. Eppure la Svizzera è una grande potenza imperialista. Preferisco quindi l’espressione “imperialismo mascherato” o“taciuto”.

Al centro dell’imperialismo europeo

Per secoli, il capitalismo svizzero è stato al centro dello sviluppo del capitalismo europeo. Già nel XVI secolo, i grandi mercanti e banchieri di Ginevra, Basilea e Zurigo erano il cuore delle reti internazionali per la circolazione delle merci e del credito. Dal XVII secolo, e soprattutto nel XVIII, fino alla metà del XIX secolo, i circoli capitalistici di Basilea, Ginevra, Neuchâtel, San Gallo, Zurigo, Berna, ecc. furono pesantemente coinvolti in questa gigantesca operazione di sfruttamento e oppressione del resto del mondo da parte del nascente capitalismo europeo occidentale e meridionale: il commercio triangolare. La fortuna della grande famiglia borghese dei de Pury, uno degli ispiratori del famoso Libro Bianco del 1993, derivava dallo sfruttamento di centinaia di schiavi importati con la forza dall’Africa in vaste proprietà agricole in America.

Nel 1900, la Svizzera era il Paese con il maggior numero di multinazionali al mondo ogni mille abitanti. Nestlé è probabilmente la multinazionale più internazionalizzata del mondo, cioè quella con il maggior numero di filiali all’estero. D’altro canto, però, l’industria e le banche svizzere sono frenate nella corsa alla colonizzazione del mondo da un ostacolo importante: dispongono di un potere militare relativamente scarso e, soprattutto, non hanno accesso diretto agli oceani, a differenza dell’Olanda o del Belgio, Paesi comparabili il cui accesso al mare ha permesso loro di intraprendere la conquista coloniale.

Nel periodo compreso tra la guerra franco-prussiana del 1870 e lo scoppio della Prima guerra

mondiale, i dirigenti svizzeri sognano di allargare la Confederazione, sia sul versante italiano che su quello francese, il che permetterebbe loro di accedere al mare (Genova o Tolone). Nel 1914 e nel 1915, ad esempio, pensarono seriamente di abbandonare la neutralità e di entrare in guerra a fianco dell’imperialismo tedesco, nella speranza di ottenere, in caso di vittoria, una parte del bottino, cioè un corridoio verso il Mediterraneo, oltre ad alcune colonie in Africa. (3) Ma alla fine giudicarono l’avventura troppo rischiosa, sia all’interno che all’esterno, e optarono per continuare sulla strada della ‹›neutralità››.

Questa scelta si rivelò presto estremamente redditizia, in quanto permise agli industriali e ai banchieri svizzeri di fare enormi affari con entrambe le parti in conflitto.

All’ombra dei potenti

È questa posizione speciale che ha plasmato la forma e il contenuto dell’imperialismo svizzero dalla fine del XIX secolo a oggi: non potendo contare su carte militari vincenti, la borghesia industriale e bancaria svizzera ha imparato ed è diventata una virtuosa nell’arte di giocare sulle contraddizioni tra le grandi potenze imperialiste per far avanzare le proprie pedine. A tal fine, ha utilizzato una combinazione di due carte principali:

La politica di neutralità, unita alla politica dei buoni uffici e alla politica umanitaria (Croce Rossa, ecc.), fa sì che l’imperialismo svizzero non appaia come tale agli occhi di larghi strati della popolazione mondiale, il che le conferisce un alto grado di legittimità. Ciò significa anche che viene spesso scelto come arbitro o intermediario tra le principali potenze imperialiste. Camille Barrère, ambasciatore di Francia a Berna dal 1894 al 1897, aveva già compreso questa strategia quando scrisse: “La marina della Svizzera è l’arbitrato”. (4)

La borghesia industriale e bancaria svizzera è in grado di offrire una serie di servizi specifici (segreto bancario, tassazione più che accomodante, diritti sociali estremamente deboli, ecc.) di cui le classi dirigenti delle grandi potenze imperialiste hanno grande bisogno, ma che difficilmente possono garantire nel proprio Paese, generalmente per ragioni di politica interna. Poiché l’imperialismo svizzero non appariva loro come un rivale troppo pericoloso, soprattutto a causa della sua debolezza militare, queste potenze hanno accettato che il Paese si insediasse e si specializzasse a lungo termine in alcune nicchie altamente redditizie (quella del paradiso fiscale e della piazza finanziaria internazionale, in particolare).

Sono numerosi gli esempi di come la borghesia svizzera abbia saputo far valere i propri interessi al seguito delle grandi potenze imperialiste, giocando all’occorrenza sulle loro contraddizioni. Prendiamone solo due:

Già nel 1828 i missionari di Basilea, seguiti rapidamente dai mercanti di una società, la Basler Handelsgesellschaft, fondata dal cuore dell’oligarchia basilese (le famiglie Burckhardt, Merian, Iselin, Ehinger e Vischer), si stabilirono sulla costa dell’attuale Ghana. Avranno un ruolo decisivo nella colonizzazione di questa regione da parte della Gran Bretagna. Negli anni Sessanta del XIX secolo, fecero pressione con successo sul Parlamento britannico e giocarono un ruolo diretto nella lunga guerra coloniale dell’Inghilterra contro il Regno degli Ashanti (5).

Come ricompensa, i commercianti di Basilea trovarono più facile fare affari in Ghana, che era stato posto sotto l’amministrazione fiduciaria britannica, e all’inizio del XX secolo la Basler Handelsgesellschaft era diventata uno dei maggiori esportatori di cacao al mondo (il suo profitto netto in Ghana era in media del 25% all’anno tra il 1890 e il 1910). Un solo aneddoto illustra l’influenza acquisita nel Paese dai commercianti svizzeri e la misura in cui lo consideravano di loro competenza. Nel marzo 1957, il Ghana divenne la prima colonia europea in Africa a ottenere l’indipendenza. L’evento fu storico. Tuttavia, quattro mesi dopo, in occasione della festa organizzata dagli espatriati svizzeri per il 1° agosto 1957, l’oratore svizzero concluse il suo discorso alle centinaia di invitati con le parole: “Viva il cantone svizzero del Ghana!”(6) .

Ma oltre alla carta inglese, il capitalismo svizzero sapeva giocare anche le carte tedesche e francesi. Gli svizzeri svolsero addirittura un ruolo di primo piano nella politica coloniale tedesca in Africa, che in cambio permise loro di godere della benevolenza delle autorità coloniali e di sviluppare fiorenti affari.
La strategia appena descritta si rivelò particolarmente efficace e nel corso del XX secolo la Svizzera divenne una media potenza imperialista, in alcuni settori addirittura leader. Ecco due esempi:

Le multinazionali svizzere appartengono al ristrettissimo numero di aziende che dominano il mondo in una serie di settori, che si tratti di macchinari industriali (ABB: n. 2 al mondo), prodotti farmaceutici (Roche: n. 2; Novartis: n. 4), cemento e materiali da costruzione (LafargeHolcim: 1° posto), alimentare (Nestlé: 1° posto), orologeria (Swatch: 1° posto), produzione e commercializzazione di materie prime (Glencore: 1° posto; Vitol: 2° posto), assicurazioni (Zurich: 10° posto) e riassicurazioni (Swiss Re: 2° posto).

Dalla prima guerra mondiale, la Svizzera è anche una delle principali piazze finanziarie internazionali, oggi la quarta o quinta al mondo. Ma in termini finanziari, l’imperialismo svizzero è ancora una volta unico. Le banche svizzere occupano una posizione speciale nella divisione del lavoro tra i centri finanziari: sono il luogo di rifugio preferito per il denaro dei capitalisti e dei ricchi del mondo e si sono quindi specializzate nelle operazioni di gestione patrimoniale.

Sfruttamento massiccio

C’è un ultimo aspetto molto importante legato all’imperialismo svizzero. Come già detto, l’imperialismo non si limita a recarsi nei Paesi poveri per ottenere manodopera da tagliare e sminuzzare a piacimento. Comporta anche l’ingresso di lavoratori stranieri in condizioni che consentono di sfruttarli quasi con la stessa ferocia.

Anche in questo ambito, i datori di lavoro svizzeri si sono distinti per l’importazione massiccia di manodopera composta da persone immigrate, fortemente discriminate da un ingegnoso sistema di permessi di soggiorno, concepito per mantenere la massima precarietà del lavoro, e per l’assenza di diritti politici. In breve, si è distinta per la portata della politica di “delocalizzazione in loco”, per usare l’eloquente espressione di Emmanuel Terray, che ha perseguito per molto tempo. Alla fine del XIX secolo, i lavoratori stranieri in Svizzera rappresentavano più del 10% della popolazione (16% nel 1913). Oggi rappresentano circa il 25% della popolazione residente in Svizzera, vale a dire più di due milioni di persone, la maggior parte delle quali sono lavoratori salariati e non hanno diritto di voto a livello federale, a cui si aggiungono circa 200.000 lavoratori clandestini che vengono sfruttati.

– Di Sébastien Guex