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MURALES RIBELLI E COMUNICATO SOA MOLINO: Gli dei se ne vanno, le macerie restano

Ieri è stata una domenica vibrante e partecipata. Il caldo non ha affievolito l’entusiasmo, anzi. Nel verde del prato dietro all’ex Macello si respirava un’atmosfera di leggerezza e condivisione: bancarelle, serigrafia, concerti ed una presentazione. Intanto, mani ispirate ridisegnavano una città altrimenti anonima tracciando sulle pareti murales eloquenti e carichi di significato: basta sfruttamento, guerre e saccheggio! stop al genocidio in Palestina! Libertà ed autodeterminazione per tuttx!

GLI DEI SE NE VANNO, LE MACERIE RESTANO

Per la lega i molinari non devono semplicemente andare fuori da Lugano ma devono andare fuori dal canton Ticino (Sabrina Aldi, SeidiSera, 19.11.2024)

Arroganza, totale disprezzo verso chi non si allinea al pensiero del capo, annientamento delle diversità e un orizzonte di macerie. Questa è, ridotta all’essenza, la visione politica dominante di questo occidente indevastante e irreversibile agonia. Tanto su scala globale, dove l’olocausto arabo mediorientale, avviato con la “guerra al terrorismo” all’indomani dell’11 settembre 2001, si consuma sotto forma di genocidio nei confronti del popolo palestinese, con una nuova guerra di aggressione contro la repubblica islamica dell’Iran; quanto su quella locale, dove non potendo ancora colpire con le bombe e il terrorismo omicida da remoto, si procede conrepressione, espulsioni, sgomberi e minacce che spesso preludono macerie fisiche, sociali o dello spirito. Spesso però ci si dimentica o non si vuol tener conto che un mondo di macerie è un mondo inospitale anche per chi lo ha immaginato ed evocato. Chi bombarda scuole e ospedali o distrugge case per rubare territori, si ritrova ben presto la guerra in casa, costretto a sgomberare o ad abitare le stesse macerie. Allo stesso modo chi fa dell’insulto e dell’espulsione il proprio lessico politico, dovrà considerare l’ipotesi di subire lo stesso disprezzo. Così, mentre “i padroni a casa nostra” muovono la torre per proteggere il re, decidono di sacrificare il pedone, anzi la pedina, Sabrina.

Nella tormenta che viene c’è chi scatena guerre e genocidi pur di salvare il proprio misero potere, perseguendo politiche di saccheggio e sfruttamento e c’è chi si arrocca come può, alle prese con i fastidiosi residui dello stato di diritto. In mezzo, gli stessi intrallazzi, la stessa corruzione, lo stesso putrido potere. Lo stesso squallido comando rimediato “democraticamente”, cavalcando paure, xenofobia e razzismo. No, non sentiremo certo la mancanza di Sabrina, ma tra scandali e arrocchi ci pare sempre interessante constatare una volta di più la fattezza di tali personaggi. Soprattutto quando sono in evidente difficoltà o quando se ne vanno (e non capita spesso), ci pare importante ricordare la fogna dalla quale provengono: quella delle presunte combine, dei finanziamenti illeciti, delle demolizioni notturne, degli alcool test compiacenti o delle molestie sottaciute.

Altro che famiglia felice etero-monogama! Perché al di là della retorica elettorale merde sono e merde rimangono: esseri arrivisti e prepotenti, forti con i deboli e deboli con i potenti, che pensano di usare “la cosa pubblica” come una cosa propria, con tutti i privilegi di sorta, di cui solo loro possono beneficiare, riuscendo pure a farsi passare come vittime perseguitate, quando si ricorda loro che, oggi come ieri, no pasaran!

Così nei tanti commenti indignati di fronte all’arrocco leghista, notiamo che si tralasciano le varie difficoltà processuali del direttore del dipartimento Istituzioni, che si troverà prossimamente ad affrontare due processi come persona a conoscenza dei fatti. L’arrocco oltre a paventare un vuoto perenne di chi non sa più che pesci pigliare di fronte all’evidente fallimento di politiche reazionarie, ci sembra piuttosto una mossa difensiva per togliere dall’imbarazzo il re, la cui posizione è diventata insostenibile e sarebbe ora che si facesse da parte.

Ma non è decisamente il caso a queste latitudini, tra il grigio e il bananiero di cieli gonfi d’umidità.

E allora, ancora una volta, proprio qui, ci ritroviamo: sulle nostre macerie. Luogo materiale della devastazione e del saccheggio nostrani, ma anche luogo fisico e simbolico da cui ripartire. Macerie che continuiamo ad attraversare e a calpestare. Macerie su cui cresceranno nuove foreste ed ecosistemi di dissenso, di conflitto, di resistenza e solidarietà complice, lontano dai poli, dai matrix destinati al fallimento o dalle “cittadelle della cultura”. Perché oggi quelle macerie sempre più rappresentano un’ancora da gettare, un approdo da immaginare, una zattera per non affondare, i mattoni per ricostruire. E se è vero che sono i popoli in rivolta a scrivere la storia, è spesso altrettanto vero che prima di finire nei libri, la storia deve passare da qui, dalle macerie del nostro tempo.

Storia scritta sui muri, prima che sui libri, come facciamo quest’oggi, arrangiandoci di nuovo e riprendendo per un pomeriggio uno dei tanti spazi abbandonati lasciati a deperire, dipingendone i muri con due murales di contro-cultura artistica dal basso, tra concerti di artisti hip-hop locali, serigrafia, confronti e cibo.

Murales che, come la glicine ribelle e selvaggia che all’ex macello sta inondando la devastazione delle macerie, rendono visibile la complicità svizzera con il genocidio in Palestina e la relazione di oppressione e sfruttamento colonialista ed estrattivista a opera dell’occidente sul sud globale.

Solidarietà con tutte le persone di Gaza
Libertà per il popolo palestinese!
Lunga vita alla resistenza dei popoli in lotta.
Complicità con chi blocca la macchina da guerra e le esportazioni di armi e si oppone ai decreti securitari.
Vicinanza e cariño con tutte le persone private della loro libertà.

I muri sono di chi li dipinge.
Siamo ancora qua!
Il Molino non si tocca!

SOA il Molino