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COMUNICATO: A LUGANO LA MISURA E’ COLMA DI IGNORANZA E OPPORTUNISMO

COMUNICATO: A LUGANO LA MISURA È COLMA DI IGNORANZA E OPPORTUNISMO

20.01.2024 – Comunicato Soa il Molino

A LUGANO LA MISURA È COLMA DI IGNORANZA E OPPORTUNISMO

Sono ormai passate tre settimane dall’occupazione natalizia di Capo San Martino. Eppure, quasi giornalmente si sussegue il dibattito dell’azione: interviste, editoriali, articoli, opinioni. Un rincorrersi a destra a chi le spara più grosse (poche piacevoli eccezioni a parte), tra grossolani errori, falsità, minacce e auspici di repressione. (Buon) segno che – al di là di tutto – proprio un problema irrilevante, legato unicamente a una questione di ordine pubblico, non è.

Ci ha precedutx Danilo Baratti su naufraghi.ch nel ricordare che le prime rivendicazioni per spazi autonomi da autogestire risalgono agli anni ’70. E il CSOA il Molino non fu fondato nel 1980 ma occupato nel 1996, dopo anni di trattative infruttuose e di vaghe promesse. Qualcuno forse dovrebbe rileggere la storia.

L’autogestione – intesa come elemento di costruzione, di alternativa, di crescita, di critica e di rottura antagonista con il sistema – è un modello politico e sociale di società altra che abita innumerevoli realtà in tutto il mondo: centri sociali, case occupate, comunità, fabbriche, scuole, territori. Il Ticino è forse una delle poche geografie a non averla ancora capita e “accettata”, riducendola dapprima a una mera questione giovanile e ora a un problema di ordine pubblico.

Da sempre osteggiata e repressa – dalla Comune di Parigi, ai Soviet di Kronstadt e di Pietroburgo, dalla Repubblica dei Consigli di Baviera, alla Spagna del ’36, dal Confederalismo Democratico in Kurdistan alle comunità Zapatiste in Messico – l’autogestione non prevede alcun controllo autoritario o statale, è una forma libera e rispettosa di autodeterminazione. È forse anche per questo che fa paura. Il manifesto del Partito Comunista di Karl Marx – che data 1848 e non 1948 come erroneamente indicato dai due ignoranti vicepresidenti del PLR – non ne fa che brevi accenni (i lavoratori devono autogestirsi le loro lotte). D’altronde difficilmente nel 1948 i partiti comunisti, ovunque avvolti dai fumi dello stalinismo, promuovevano il concetto di autogestione. Sarà solo la decisa rottura con Stalin della Jugoslavia del maresciallo Tito, a portare al suo sviluppo nei Balcani inizio anni ’50.

Ma da sempre l’ignoranza fa paura ed il silenzio uguale a morte, cantava Francesco Guccini nella sua Canzone per Silvia (Baraldini), intervenuta in una conferenza al Molino qualche anno fa. Certo è che la libertà autogestionaria spontanea dell’essere umano cominciò ben prima del manifesto marxiano. E fu soprattutto l’avvento storico dell’attuale sistema patriarcale, con la diffusione di recinti e la privatizzazione delle terre da coltivare – da cui si sviluppò la proprietà privata, il dominio e lo sfruttamento (dell’uomo sulla donna, del ricco sul povero, del forte sul debole, dell’essere umano sugli animali e sulla terra) – a limitare l’avvento di una società diversa.

A Lugano della sua diffusione si parla da ormai 50 anni ma la situazione rimane all’incirca la stessa. E non è sicuramente di autogestione che la misura è colma!

Il Dialogo o no, il dialogo o no chissà chi vincerà… È una concezione di dialogo molto particolare quella di Karin Valenzano Rossi. Un giorno va bene e il giorno dopo è negata. Probabilmente un po’ di felicità non l’ha messa da parte, come cantava Gianna Nannini in Fotoromanza. E se l’occupazione dell’hotel Fisher – sostenne a fine estate – non chiude il dialogo (Cdt 9.10.23) oggi sembrerebbe non crederci più (Cdt 3.1.21). Questo nonostante il giorno dopo l’occupazione del Le Cap affermava: non mi sento presa in giro, gli autogestiti si comportano come si sono sempre comportati, piuttosto mi sento frustrata e amareggiata dai tempi lentissimi della politica che, anche a fronte di una possibile soluzione pragmatica individuata, per decidere e concretizzare impiega troppo tempo rischiando di bruciare così occasioni preziose per soluzioni condivise (cdt 26.12.23).

Cambio di direzione imposto dall’alto, risentimento personale, elezioni in vista? Poco importa. Ma mentre oggi diventiamo improvvisamente “facinorosi che rifiutano il dialogo” (Paolo Morel, presidente PLR, Matrioska, 9.1.24), ci teniamo a ricordare che il suddetto “dialogo”, o meglio la trattativa informale, fu voluta, cercata, implorata dalla stessa Valenzano, scesa in tutta fretta nel cuore della notte alle ex scuole di Viganello, il giorno dopo la riapertura del dossier concernente lo sgombero e la distruzione di parte dell’ex macello. Senza peraltro nessuno straccio di proposta se non quella di lasciare in tempi brevi le ex scuole.

D’altronde cosa aspettarsi da una persona che di una proiezione sulla Palestina in piazza riesce a vedere solo il muro della chiesa sulla quale è stata proiettata? (Detto tra noi, Teleticino, 10.1.24). Per almeno 6-7 volte ci siamo incontrate con la municipale del PLR, da quella notte di inizio luglio. All’ordine del giorno i loro tempi estremamente lunghi per trovare una soluzione e il fragile filo all’interno del municipio, non particolarmente eccitato nel trovarla. L’HG commerciale – da noi accennata insieme ad altri spazi nella totale assenza di proposte – risultò da subito essere un’opzione poco percorribile: troppa la spesa non richiesta per  una “soluzione” temporanea e per rendere agibile uno spazio che si presterebbe piuttosto ed eventualmente a una “sala concerto/discoteca alternativa” da gestire collettivamente e a rotazione tra tutti i gruppi e le associazioni che lo desiderassero, ma non certo uno spazio dove possano essere prese in considerazione tutta una serie di altre attività.

Insomma una concezione di dialogo creata ad arte, da chi in quel momento non dormiva sonni troppi tranquilli.

Cosa cambia dalle occupazioni delle ex scuole e dell’hotel Fisher a quella del 25 dicembre? La presunta illegalità era la stessa, le scritte sui muri più o meno anche, solo i rifiuti erano forse un po’ meno, ripuliti in tempi consoni, come sempre fatto in 25 anni. E fa sorridere sentir parlare di illegalità un municipio nel quale 5 persone su 7 hanno avuto, o tuttora hanno, problemi con la “giustizia” per atti considerati illegali.

Il repentino cambio di direzione che porta all’ennesima chiusura. Dimostra, ancora una volta, come sia impossibile entrare in trattativa con un’autorità che rifiuta, nel concreto, di riconoscere la necessità pratica e irrinunciabile di spazi autonomi da autogestire, negando la questione (nonostante un timido tentativo fatto con la dichiarazione post ex scuole) e facendo di tutto per sminuirla e ridurla a una questione di ordine pubblico e di legalità.

Necessità politica di un “qui e ora”, che occupando e riappropriandosi di uno spazio individua e segnala – andando a mettere il dito nel cuore della bestia, dei malaffari e degli intrallazzi, del Ticino che conta e che decide – tutto un malandazzo politico che di fatto specula e abbandona innumerevoli spazi pregiati sul territorio , che potrebbero  essere semplicemente utilizzati per altro.

Venticinque anni di Molino dimostrano che per gestire uno spazio senza troppi problemi non c’è bisogno di granché, di soldi non ne son mai stati chiesti, il dovuto è sempre stato pagato e l’assemblea si è sempre fatta carico di tutto.

Non dovrebbe quindi solo essere un’occupazione natalizia di uno spazio abbandonato da anni, in condizioni scandalose e di degrado, a spostare l’asticella della soglia di “tolleranza”, facendo rientrare il tutto nella normalità e mandando in frantumi vista lago la tanto osannata “finestra di dialogo”.

Si tratta evidentemente di meschina campagna elettorale, feticismo democratico. Meglio gridare al degrado, all’illegalità, alla maleducazione, che lavorare a una soluzione. Meglio invocare la rottura del dialogo invece di ammettere che di proposte praticabili non sono in grado di farne. Meglio tacere  sulle condizioni in cui quel luogo giaceva e del divieto alla cosiddetta “stampa” di svolgere il proprio lavoro (bloccata per varie ore durante le operazioni di sgombero e poi gentilmente accompagnata a filmare bottigliette e cocci ben raccolti per le immagini di rito costruite ad arte), che parlare della gran massa di persone accorse la sera del 25, del bisogno politico e sociale di un tale atto e della buona partecipazione nei restanti giorni in cui – in un infame clima disinformativo-repressivo- si sono svolte attività diverse tra loro e costruite con altre realtà e individui, sfociate infine nel partecipato e variegato corteo di sabato 30 dicembre

E per esacerbarlo quel clima meglio inviare 50 agenti, in evidente imbarazzo, per sgomberare una piazza tranquilla e cenante in una delle scene più grottesche vista in 25 anni.

Meglio rimandare la stessa quantità di sbirri – più che in imbarazzo quasi contrariati a sto giro – a consegnare dapprima una notifica in cui si vietava sia la distribuzione della cena sia il soffermarsi in un parco (di norma sempre aperto) dopo le 20, per poi cercare di ripetere – fallendo – l’operazione sgombero del giorno prima.

Più facile lamentarsi per uno stabile già fatiscente, mentre al centro federale per richiedenti l’asilo di Balerna, 300 persone vivono sovraffollate in stanze da 14 persone, mangiando per terra, in uno stabile parzialmente inagibile e in totale degrado dopo le fiamme, con 3 cessi per 250 uomini e uno per 50 donne.

Quello che dimostra invece la lunga serie di occupazioni – al di là delle farneticanti dichiarazioni a Sei di Sera, rete uno, 4.1.24, del municipale Badaracco – a causa del Molino il municipio ha perso tempo per trovare uno spazio per la cosiddetta cultura alternativa – è che gli spazi ci sono e sarebbero percorribili: dal’ex villa di Viarnetto a Pregassona all’ex Caritas con il parco adiacente, a Molino Nuovo. Dall’ex edificio Vanoni, abbattuto illegalmente, allo stabile Sphora, sempre nel quartiere popolare di Pregassona, struttura abbandonata da tempo e rivendicata in parte anche dall’Associazione Amélie.

O, soprattutto, le ex scuole di Viganello, in un quartiere con cui si è già sperimentata la possibilità di convivere e che, per la loro grandezza e struttura, potrebbero ospitare svariate realtà e progetti all’insegna di un minimo di base comune. Scuole che permetterebbero di risolvere gran parte dei problemi di assegnazione degli spazi ad altri gruppi e che, con un minimo di lungimiranza e volontà, aprirebbero infiniti spazi e immaginari.

Purtroppo però, come già per tutti questi stabili lasciati da decenni a marcire (un esempio su tutti: l’ex grotto al meglio!) o per tutti quelli distrutti nel corso degli anni, la risposta è sempre la stessa: “non è possibile, abbiamo in ballo un progetto”. Progetti che mai si realizzeranno o che sono fortemente contestati da chi abita il quartiere, come nel caso di Viganello in cui è previsto l’abbattimento di un edificio per ricostruirlo pochi metri più in là, e dove si andrebbe a sottrarre un parco e uno spazio di aggregazione collettiva al quartiere). O ancora, “siete troppo all’interno del tessuto urbano’’.

Il che rende evidente come l’autogestione sia una questione profondamente politica! Ci sembra d’altronde facilmente intuibile e che l’attuale campagna elettorale si giocherà (anche) sulle spalle del Molino, dell’autogestione e della cosiddetta questione della “cultura alternativa”. Il gioco dei sacrificabili, degli scarti, degli esuberi, dei margini. A Chiasso i migranti e a Lugano “i molinari”.

Non intendiamo, una volta di più, prestare il fianco alle strumentalizzazioni di chi cerca di recuperare le richieste della così denominata “cultura alternativa” denigrando e criminalizzando altre parti. Che siano altri a farlo se la ritengono cosa buona e giusta e se la coscienza non si rivolta. Gli spazi per noi rimangono una necessità imperante e vanno assegnati, ripresi, occupati, liberati, come probabilmente (e giustamente) avverrà con le richieste di tutta una scena indipendente che necessita di luoghi. Che ben inteso non risolverà la cronicità dei bisogni che investono svariati settori e ambiti, non solo quelli culturali.

Il problema non si risolverà sicuramente nel creare divisioni, tensioni e nel tentativo di isolare “l’autogestione”: sarebbe solamente l’ennesimo facile specchietto per le allodole che butta i “rifiuti” sotto il tappeto credendo che si autoeliminino nell’incuria del tempo. Sbagliandosi evidentemente, in quanto i-le reittx continueranno a puzzare, a estendersi, a contaminare.

Gli spazi ci sono e ci prenderemo ancora una volta il tempo per fare bene tutte le cose, per renderli visibili e per liberarli una volta di più dall’incuria e dall’abbandono.

E di fronte alle macerie di una casa militarmente abbattuta nel cuore della notte e al continuo tentativo di insabbiare la Verità di quell’operazione, l’estensione dei corpi indesiderati non potrà che aumentare.

Ci vediamo in giro

SOA il Molino