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IMPERIALISMO SVIZZERO#2 – COME LO STATO HA PARTECIPATO ALLA COLONIZZAZIONE

Come lo Stato ha partecipato alla colonizzazione

Pulizia della statua di David de Pury che gli attivisti avevano ricoperto di vernice. Benefattore di Neuchâtel, de Pury fu particolarmente attivo nel commercio triangolare.

Le ricerche sulla storia coloniale svizzera hanno spesso trascurato il coinvolgimento della Confederazione e dei Cantoni negli affari coloniali del XIX secolo – benché l’attività dello Stato svizzero in quest’ambito fosse importante.

Occorre innanzitutto sottolineare che, nella ricerca, i pareri sulla definizione di «colonizzazione» e dei suoi termini derivati sono discordanti. Appare invece assodato che questo fenomeno può assumere varie forme – politiche, economiche e culturali – e variare a seconda delle epoche e delle regioni, nonché manifestarsi all’interno come all’esterno dei Paesi. Per non appesantire il presente contributo con tecnicismi e limitarci all’essenziale, con il termine «colonizzazione» intenderemo qui l’espansionismo europeo nelle regioni d’oltremare nel XIX secolo.

Un espansionismo senza partecipazione dello Stato?

La storiografia svizzera si è a lungo concentrata sulla partecipazione dell’economia privata alla colonizzazione. Oltre a un’emigrazione imprenditoriale più o meno spontanea in Brasile, Egitto e Australia, in territorio elvetico operavano imprese dedite al commercio coloniale. La società «Gebrüder Volkart» di Winterthur, fondata nel 1851, si occupava ad esempio di import-export di materie prime contro prodotti finiti, affermandosi, nel corso della prima metà del XX secolo, quale principale attore elvetico sul mercato indiano. La «Basler Handelsgesellschaft» (1859), una sorta di filiale commerciale della Missione di Basilea (1815), sfruttava le risorse e la manodopera del Ghana per la produzione di cacao. In tutt’altro settore, ossia le banche e le borse, gli investimenti d’oltremare erano all’ordine del giorno. La piazza bancaria ginevrina era coinvolta nel finanziamento di grandi infrastrutture del commercio mondiale come il Canale di Suez.

Questi esempi – ma ce ne sarebbero molti altri – potrebbero indurre a ritenere che le autorità statali non fossero coinvolte nell’espansionismo elvetico nelle regioni coloniali. Se è vero, da un lato, che la Svizzera in quanto Stato non ha mai posseduto colonie, dall’altro va sottolineato che, per determinare la partecipazione di uno Stato alla colonizzazione, l’occupazione di territori non può costituire l’unico parametro. Il caso svizzero non è mai stato studiato da questa prospettiva. Peggio ancora, questo vuoto storiografico è servito da pretesto per affermare che i poteri pubblici svizzeri non ebbero alcun ruolo nella colonizzazione. Piuttosto che ammettere una lacuna nella ricerca, alcuni storici preferiscono sottolineare che, «formalmente, la Svizzera in quanto tale non ha avuto un passato coloniale», o ancora che «gli svizzeri agivano a titolo individuale»(1) . Questa lacuna costituisce un problema non solo meramente accademico, ma anche politico. Anche le autorità federali si attengono infatti alla versione dell’assenza di un coinvolgimento statale – «die Organe des Landes waren nicht involviert»(2) –, tra l’altro per legittimare la politica economica e migratoria odierna della Svizzera.

Analizzando il caso svizzero, si riscontra tuttavia un attivismo delle autorità pubbliche in quest’ambito a vari livelli. Nel quadro del gruppo di lavoro «Collaborative History of Global Switzerland (1800-1900)» dell’Università di Losanna, un progetto di ricerca su questo tema è in corso di svolgimento. Tra i vari possibili esempi al riguardo, i tre presentati qui di seguito offrono primi spunti sull’argomento in questione.

Intrecci pubblico-privato

Nel XIX secolo, le società svizzere di geografia rappresentano circoli privati di socialità borghese dove si incontrano intellettuali, imprenditori e politici. Numa Droz e altri due consiglieri federali sono ad esempio membri della Società geografica di Berna («Geographische Gesellschaft»), che conta tra i suoi affiliati anche due consiglieri di Stato bernesi e vari deputati federali. Scopo ultimo di queste società è studiare i territori d’oltremare e ricavarne motivi di interesse per la scienza, il commercio o le attività missionarie.

Quali sono le forme di collaborazione tra queste società e lo Stato? Le società di geografia sono consultate e coinvolte nell’istituzione dell’Ufficio federale dell’emigrazione nel 1888, da cui ricevono a loro volta informazioni riservate, utili ai fini dell’espansionismo economico d’oltremare. Nel 1893, il suddetto Ufficio trasmette ad esempio alla Società neocastellana di geografia («Société neuchâteloise de géographie») notizie confidenziali concernenti il Transvaal, regione situata nella parte nord-orientale dell’odierno Sudafrica. È l’epoca della scoperta in quella zona di oro e diamanti, che, insieme al platino, costituiscono importanti materie prime per l’industria orologiera svizzera, di cui il Cantone di Neuchâtel è uno dei principali centri. Droz, originario del Cantone, già nel 1886 aveva perorato la causa della costituzione di un consorzio nel Transvaal, poi diretto da un neocastellano sotto l’egida della Società geografico-commerciale di San Gallo («Ostschweizerische geographisch-commercielle Gesellschaft»). Nello stesso periodo, la Confederazione apre un consolato nella regione. Queste iniziative, frutto di un partenariato pubblico-privato, inducono molti membri delle società di geografia a emigrare in Sudafrica. Uno di essi, l’ingegnere minerario zurighese Carl Fehr, è nominato console svizzero nel Transvaal nel 1894. Insieme ai fratelli Philippe e Jean DuBois di Neuchâtel, discendenti di un’importante famiglia di orologiai, Fehr fonda una holding per l’estrazione di oro. Queste attività predatrici portano i loro frutti: nel solo mese di febbraio del 1894, gli incassi ammontano a 13,5 milioni di franchi, una somma enorme se si considera che, in quell’anno, le entrate e uscite della Confederazione ammontano all’incirca a 50 milioni di franchi. L’affare si conclude però male per gli svizzeri coinvolti, con una bancarotta fraudolenta nel 1899, un mandato d’arresto e la fuga dei responsabili verso altri continenti.

Questa storia evidenzia fino a che punto lo Stato svizzero, con i suoi uffici e rappresentanti, sostenesse i progetti economici espansionisti promossi dalle società di geografia, che per giunta sovvenzionava. Le società di Aarau e di San Gallo, entrambe focalizzate sul commercio d’oltremare, ricevevano denaro non soltanto dalla Confederazione, ma anche dai Cantoni, tra cui Basilea Città, Turgovia e Appenzello.

Sovvenzioni e pensioni

Benché la Confederazione – malgrado dibattimenti in tal senso a Palazzo federale – non promuovesse ufficialmente una politica coloniale, nel XIX secolo nascono spontaneamente colonie svizzere all’estero. Oltremare si sviluppano comunità elvetiche, rappresentate a Berna da consoli privati o associazioni di mutuo soccorso. L’istituzione di queste ultime è a volte incoraggiata dai rappresentanti dello Stato, come nel caso della società del Cairo, fondata nel 1869 grazie a una donazione della delegazione federale recatasi in Egitto in occasione dell’apertura del canale di Suez. La società di Bahia dal canto suo viene fondata nel 1857 in Brasile. Dai suoi archivi emerge che essa era formalmente legata alla Confederazione; i suoi statuti non potevano essere modificati senza l’avallo di Berna. Oltre all’assistenza e al mutuo soccorso, si occupava anche di investimenti sul mercato brasiliano per mettere a frutto il capitale proprio. Più in generale, dalla metà del XIX secolo sia il Consiglio federale che i Governi cantonali concedono sovvenzioni annuali alle società svizzere di mutuo soccorso all’estero. Nel 1881 ad esempio, più di 36 000 franchi dell’epoca, somma corrispondente all’incirca al salario annuo di 70 agricoltori ginevrini, sono ripartiti tra 85 organizzazioni di questo tipo. Venivano inoltre concesse sovvenzioni puntuali su richiesta. Lo Stato svizzero versava quindi denaro a molte persone nelle colonie.

In senso inverso, numerose persone in Svizzera percepivano soldi dagli Stati coloniali. Si tratta principalmente di soldati arruolati negli eserciti imperiali europei, ad esempio in Algeria per conto della Francia. Nel periodo 1814-1914, i Paesi Bassi assoldano oltre 7500 svizzeri distaccati in Indonesia. Una volta rientrati in patria, questi ex militari avevano diritto a pensioni che dovevano rivendicare personalmente. Molto spesso, a tale scopo si rivolgevano alle autorità comunali e/o cantonali prima che le loro istanze giungessero a Berna, che attivava la propria rete diplomatica per ottenere le pensioni dovute. Sussistevano dunque rapporti continui tra i diversi livelli dello Stato svizzero e gli organi statali stranieri coinvolti nella colonizzazione. L’afflusso di denaro garantito dalle pensioni aveva un impatto notevole, sul piano generale ma anche individuale, poiché spesso consentiva ai nuclei familiari di sfuggire alla povertà se non addirittura alla miseria.

Questo duplice fenomeno di sovvenzioni e pensioni consente di ripensare il ruolo delle autorità pubbliche svizzere nel contesto coloniale. Le traiettorie individuali e collettive degli svizzeri nelle colonie hanno spinto la Confederazione e i Cantoni ad agire. Tale considerazione offre anche un’altra prospettiva sulla storia dello Stato sociale (o proto-sociale) in Europa, inserendola in un’ottica globale e interconnessa. Il denaro pubblico da e verso i territori coloniali ha favorito lo sviluppo di prestazioni sociali volte a garantire un tenore di vita minimo agli europei.

Mediazione nei conflitti d’oltremare

Se vi è un ambito della storia coloniale in cui il coinvolgimento della Confederazione risulta evidente anche a prima vista, è quello degli arbitrati. I Governi dei Paesi imperiali hanno spesso incaricato il Consiglio federale o singoli suoi membri di dirimere vertenze a carattere geopolitico o economico concernenti i territori d’oltremare. Il sistema «mondo imperiale» necessitava infatti di Paesi come la Svizzera che agissero da mediatori. Questo settore di attività si sviluppa in Svizzera dal 1872, quando un tribunale arbitrale riunito a Ginevra e diretto dall’ex consigliere federale Jakob Stämpfli condanna l’Impero britannico a indennizzare gli Stati Uniti d’America per le sue ingerenze nella Guerra di secessione. Leopoldo II, re del Belgio, si appella alla Confederazione per mediare nei conflitti tra lo Stato libero del Congo, posto sotto la sua sovranità personale, e le potenze rivali (1886, 1889). Allo Stato attuale, negli inventari dell’Archivio federale svizzero risultano censiti una quindicina di casi di arbitrato.

Mentre alcuni di essi sono già stati parzialmente analizzati, come il contenzioso tra Brasile e Francia per la definizione dei confini nella Guyana francese (1897-1900), altri risultano ancora per nulla studiati. La vertenza legata al collegamento ferroviario tra il Transvaal e il Mozambico induce la Gran Bretagna e gli Stati Uniti a denunciare il Portogallo, che aveva nazionalizzato la parte della linea che si trovava nel territorio mozambicano posto sotto il suo dominio. L’arbitrato svizzero, che durerà un decennio (1890-1900), si svolge in concomitanza con altre controversie coloniali che coinvolgono cittadini svizzeri, tra cui in particolare i missionari della Missione romanda, accusati dal Portogallo di insidiare l’autorità coloniale. Grazie al ruolo della Svizzera nell’arbitrato, i missionari non vengono espulsi dal Mozambico.

Queste attività di arbitrato hanno indubbiamente coinvolto la Confederazione nella politica espansionista delle grandi potenze: è pertanto legittimo chiedersi in che misura esse abbiano permesso alla Svizzera di ottenere concessioni nelle colonie. L’esempio dei missionari testimonia l’interesse delle ricerche condotte attualmente sulla storia degli arbitrati, le cui implicazioni non si limitano alla sfera meramente giuridica.

Conclusioni

Analizzare il ruolo delle autorità pubbliche svizzere nella colonizzazione del XIX secolo non significa unicamente esplorare un aspetto sottovalutato o addirittura ignorato della storia (coloniale) nazionale, ma contribuisce anche al progresso della storiografia internazionale in questo campo di studi. Appare ormai assodato che la circolazione di persone, idee, merci e capitali abbia reso la Svizzera parte integrante del processo di colonizzazione, come peraltro anche altri Paesi ai margini della grande politica coloniale. Il ruolo esercitato dallo Stato in questo contesto è stato spesso ignorato, e con esso tutte le sue specificità, come il fatto di essere strutturato su tre livelli (federale, cantonale e comunale) o di basarsi su un sistema politico di milizia, che implica un intreccio tra interessi pubblici e privati maggiore che altrove. Studiare il caso svizzero nell’ottica del coinvolgimento statale può contribuire a capire meglio il ruolo che gli Stati senza colonie hanno comunque potuto esercitare nella colonizzazione e, dunque, a comprendere la storia coloniale in generale.

Articolo di Fabio Rossinelli

Ripreso da Renverse.co

Bibliografia

Fabio Rossinelli, «Swiss colonial business in the Transvaal. The involvement of the DuBois Family, watchmakers in Neuchâtel (late 19th century)», in Bernhard C. Schär, Mikko Toivanen (a c. di), Integration and Collaborative Imperialism in Modern Europe, Londra 2024 (in preparazione).

Philipp Krauer, Bernhard C. Schär, «Welfare for war veterans. How the Dutch Empire provided for European mercenary families, c. 1850 to 1914» in Itinerario. Journal of Imperial and Global Interactions, vol. 47, n. 2, 2023 (in preparazione).

Fabio Rossinelli, Géographie et impérialisme. De la Suisse au Congo entre exploration géographique et conquête coloniale, Neuchâtel 2022.

Yves Collart, Marco Durrer, Verdiana Grossi, «Les relations extérieures de la Suisse à la fin du XIXe siècle. Reflets d’une recherche documentaire» in Studi e fonti, vol. 9, pagg. 35-120, 1983.

Note

(1) Trasmissione «Forum», RTS, 17 giugno 2020. Citazioni di Christophe Vuilleumier e Olivier Meuwly.

(2) «Gli organi statali non erano coinvolti». Trasmissione «Samstagsrundschau», SRF, 20 febbraio 2021. Citazione di Ignazio Cassis.